Quale modo migliore per aprire le letture estive, se non con un bel romanzo di pirati, spiantati e Jolly Roger? Ringrazio proprio la casa editrice Scrittura&Scritture per la collaborazione: non potevano immaginare quanto la mia psicosi verso la pirateria fosse grave!
Suvvia, bando alle ciance, non siamo qui per sollazzarci, bensì per svolgere il nostro lavoro. Tutti in coperta! Tutta a babordo, razza di fannulloni! Già, mi sono immedesimata un po’ nei protagonisti… forse un po’ troppo, direi.
Allora, siccome a pirati e filibustieri vari non piace molto temporeggiare, penso che non lo farò neppure io: in breve, il romanzo è totalmente diverso da ciò che mi aspettavo, ma è stata una piacevolissima sorpresa.
Dove aspetta la tempesta. Un pirata sulla rotta di Calico Jack di Carla Marcone è diviso in due parti e, se volete saperlo, i pirati arrivano nella seconda. Pure Calico Jack, a dire il vero. L’inganno del libro, che è tuttavia anche il suo punto di forza e lo rende unico nel suo genere, è infatti l’essere un libro sulla pirateria come fenomeno sociale e non un libro di pirati. I protagonisti sono Hey, sguattero senza arte né parte e figlio ladruncolo di Mary Read, una donna scialba e triste per un passato di sogni infranti, e Hasim, giovane color d’ebano, come viene descritto, che farà ciò che viene richiesto a uno come lui: il fenomeno da baraccone. Le loro strade, fatte di amicizia e speranza nella disperazione e nella povertà quotidiana, straripano in una drammatica foce che non è nulla di diverso da ciò che ci si aspetterebbe: un omicidio, la fuga, il tradimento. Peccato che solo Hey riesca a fuggire in un modo apparentemente fortunato, ovvero l’arruolamento nella ciurma del Capitano Kidd. Il celebre corsaro viene rappresentato esattamente come me lo immaginavo e anzi come dovevano essere i corsari (ovvero, pirati dotati della patente di corsa che dava loro il benestare del governo per solcare i mari e predare i nemici dello stato): violenti, sanguinari, eppure melliflui nel loro saper stare dalla parte giusta al momento giusto della guerra, rettili nel loro strisciare fra i giochi politici in cui riuscivano sempre a prendere il bottino. Dopo di lui, che tratta Hey come un figlio, tanto da dargli il nome di Andrew Kidd, arrivano i grandi del mestiere: l’irruente ed egocentrico Calico Jack, la sensuale Anne Bonny, moglie pirata di James Bonny, il citatissimo e violentissimo Olonese, per non parlare del personaggio più riuscito del romanzo, Mary Read, la madre piena di odio che vive di vendetta e follia.

In effetti, altro punto a favore del romanzo è sicuramente la gestione perfetta delle redini della finzione e della veridicità storica. L’inserimento di elementi veri in una cornice narrativa romanzesca è perfetto e non suona affatto fittizio. Credo che a gente come i nostri cari farabutti di mare farebbe molto piacere.
Oltre alla pirateria c’è però molto altro. Quel che rende particolare questo libro è, come ho detto sopra, la rappresentazione della pirateria come parte della vita quotidiana dei porti del Settecento, invece di un periodo di splendore eroico e gesta epiche come siamo abituati a leggere. Long John Silver, d’altronde, ce lo insegnò a suo tempo: il male è una scelta di sopravvivenza e, comunque, cos’è il male? Cosa può essere considerato sbagliato in un mondo in cui un ragazzo non può aspirare a molto altro se non alla taverna e al patibolo e una ragazza non ha molta scelta fra fare la sarta, rinchiudersi in convento e battere i marciapiedi? Leggendo questo romanzo, infatti, viviamo una Plymouth come non ci è mai stata descritta e scopriamo che, dietro le righe dei classici della letteratura, c’era chi, come Hasim, finiva schiavo per il colore della sua pelle e per vivere si trovava a cantare come un usignolo ballando come un pazzo. E c’erano donne che accettavano di essere considerate streghe e tali si comportavano, inventando pozioni per l’aborto o cucinando le nemiche per vendere pasticci di carne a poco prezzo.
Ho citato per due volte Mary Read… beh, è lei la chiave di volta che rende questo romanzo un meraviglioso affresco sul mondo della pirateria da una prospettiva molto diversa. Quello degli uomini in quanto tali e delle donne… in quanto tali.
Veniamo infine alla scrittura, il punto più critico. Lo stile è ridondante e molto lirico: allitterazioni, refrain, figure metaforiche in ogni dove. A volte, ciò è eccessivo, come la ripetizione degli aggettivi cruento e violento riferiti al dolore, del colore ebano riferito a Hasim. Non sono nemmeno un’amante dei cambiamenti di tempi verbali né degli stravolgimenti di registro: l’autrice adotta un registro molto elevato per la narrazione, mentre i personaggi ne usano un medio-basso… questo ha portato anche a una delle battute che, diritto d’autore mi permetta, userò quando mi chiederanno della mia vita futura (Veleggeremo in un mare di magnifica merda!). Va bene, alla fine dei conti è ammaliante e di certo non ce lo aspetteremmo da un libro con Calico Jack nel titolo, quindi chapeau. Per altro, all’ultima pagina, vi accorgerete che ogni parola ha un suo senso nel quadro generale e quindi vi rimangerete ogni commento iniziale. La lettura per questo non è scorrevole, anche se la lentezza obbliga il lettore a fermare il tempo e a immergersi totalmente nel mondo creato dall’autrice, fra vicoli sudici, case squallidissime, ponti di navi, taverne e ubriaconi, polverosi palazzi nobiliari e scogliere infrangibili.
Sventoliamo il Jolly Roger!
Betta La Talpa
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