Fra Avalon e Camelot

Come sapete, ho un debole per dame, cavalieri e destrieri rampanti: se non lo sapete, date un occhio all’articolo che scrissi tempo fa, Lunga vita al Re! e capirete…

Di Artù, la Tavola Rotonda, la Fata Morgana e compagnia è stato scritto più che di ogni altra cosa: Chretien de Troy, Tennyson, Mark Twain, Thomas Malory. I Preraffaelliti hanno dipinto sul tema alcuni dei quadri più belli della storia. Per non parlare del cinema e della televisione: Merlin (serie TV inglese andata in onda fra il 2008 e il 2012, dove il regista si prende troppe libertà e chissà perché fanno le repliche di continuo, però è un ottima riflessione sull’amicizia), King Arthur (film del 2004 che trasporta Artù nel mondo romano), Excalibur (classe 1981, ricordate la colonna sonora?), Il primo cavaliere (ovvero dove Richard Gere aveva ancora i capelli castani, nel 1995) e il più recente King Arthur – Il potere della spada (Guy Ritchie se la cava bene coi duelli, meno con la credibilità storica).

Bene o male, la leggenda è sempre quella. Ciò che può cambiare e che decreta quanto una creazione artistica sia di valore, è il lavoro sui personaggi e sul contesto storico. Quel che ha fatto Marion Zimmer Bradley con il ciclo Le Nebbie di Avalon è fenomenale.

La Tavola Rotonda

Pubblicato nel 1983 e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1986, Le nebbie di Avalon è considerato un caposaldo della letteratura fantasy e una delle prima manifestazioni di letteratura femminista in Occidente. Come cercherò di spiegare nelle prossime righe, sono in parte d’accordo con la seconda affermazione, ma in totale disaccordo con la prima. Innanzi tutto, non posso farlo rientrare nel genere fantasy perché non appare nulla di fantasioso: viene nominato un drago, ma è dagli stessi personaggi preso per pura invenzione e, quando finalmente appare, la descrizione è naturalistica, tale che lo si può ben spiegare con rettile allora sconosciuto; molto spesso avvengono apparizioni divine, rituali e incantesimi, ma fa parte di una religione, pertanto credibile secondo le credenze di un popolo. Per altro, gli incantesimi hanno molto della psicologia e non si basano su pozioni e bacchette magiche. D’altro canto, anche ne Il nome della rosa ci sono apparizioni spesso mostruose di demoni, per questo dobbiamo considerarlo un fantasy?

La lunga trama si snoda in una cornice storica precisa e, per me che sono maniaca di filologia e veridicità, risulta perfetto perché ogni atto e ogni scelta vengono spiegati proprio considerando il contesto storico. Dalla presenza dei Romani che colonizzano con i loro usi e costumi i Britanni, alle invasioni dei barbari Sassoni, i personaggi vedono cambiare il loro mondo, in positivo o in negativo a seconda delle loro opinioni, e cercano di vivere al meglio il proprio spazio vitale. Il romanzo nei fatti parla di intrighi politici per non assoggettarsi, per essere padroni di un pezzo di mondo invidiato e di come i personaggi usano i propri strumenti per raggiungere i propri scopi. Due in particolare rendono il romanzo grandioso e unico: la femminilità, con tutto quello che comporta, e la religione.

Le donne sono le protagoniste indiscusse, tirano i fili come burattinai e sfruttano quanto hanno in potere per reclamare ciò che vogliono. Igraine, Viviane, Morgaine, Morgause e Gwenhwyfar sono le principali voci della storia, su cui tuttavia prevarica quella rabbiosa, nostalgica e a tratti gelida di colei che, per vendetta e tradizione maschio-centrica, la Fata Morgana, l’antagonista per eccellenza della bontà e della perfezione di Arthur. Esse vivono l’esser donna in maniera diversa, ma ognuna di loro in modo del tutto indipendente dai voleri maschili: Igraine accetta un matrimonio infelice con il bruto Gorlois, quindi si risposa per profezia con l’amore della sua vita Uther Pendragon, un buon re che accoglie troppo facilmente la nuova religione; Viviane, la Dama del Lago, la Sacerdotessa, usa gli altri per adempiere al volere della Dea, o forse per mantenere salda la sua presa sul trono; Morgaine si fa portavoce della Dea, accetta perfino l’inganno di Viviane e combatte con tutte le sue forze per far sì che l’antico culto della Dea resti in vita; Morgause adopera la propria fulgida bellezza per soggiogare gli uomini a darle un regno tra le mani, il suo spietato sangue freddo viene travisato come pigrizia matronale; Gwenhwyfar è di una bellezza incantevole, ma è miope, agorafobica, insicura e così fanatica nel suo cristianesimo da essere una delle chiavi di rottura fra Arthur e Morgaine.

Morgaine

Infatti, l’altro punto cardine del romanzo è il rapporto fra le religioni. Mentre Morgaine, come ha imparato dalla zia Viviane, non si fa scrupoli nell’ingannare in nome della Dea, Kevin e Taliesin, il Bardo e il Merlino di Britannia, affermano che, qualunque sia il suo nome, il Dio è uno solo, tutto è vero e tutti hanno ragione; altrimenti, Lancelet, di cui viene accennata la latente omosessualità, nonostante in vecchiaia propenda per il monachesimo, non ha mai trovato la pace in nessuna religione, cristiana o pagana che sia, mentre Gwenhwyfar combatte in maniera isterica e folle affinché i preti abbiano sempre più potere presso il popolo e il re, convinta di una religione che sottomette le donne, obbliga a restrizioni senza senso e vieta ogni tipo di piacere, ignorando lei stessa la Bibbia e affidandosi ciecamente a preti astuti. L’andamento del regno di Camelot segue appunto le scelte fatte da Arthur, da sé o sotto consiglio ferino, riguardo alle religioni che albergano nei cuori della gente. Non aiuta, poi, la mancanza di un erede biologico (ci sarebbe Mordred, il figlio avuto da Morgaine, ma i cristiani non lo accetterebbero mai), da qui l’importanza data alla maternità come strumento politico, dalla prolifica Morgause alla scelta di Morgaine di non essere madre fino alla sterile Gwenhwyfar.

Un libro più complesso di quanto le recensioni su internet possano dire. Grandioso, avvincente, denso di spunti di riflessione. Leggetelo se avete già una piccola base sul ciclo arturiano e sui personaggi, vi aiuterà.

Se gradite, nel 2001 ne venne fatta una bella trasposizione televisiva in due episodi, dove Morgana è interpretata dalla bellissima Julianna Margulies, forse più nota come l’infermiera Carol Hathaway di E.R. – Medici in prima linea.

Un saluto,

Betta La Talpa

P.S. L’edizione consigliata, anzi d’obbligo, per completezza e valore editoriale, è sicuramente quella della HarperCollins del 2018.

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