L’uomo scimmia socialista

Apriamo questo 2018 con un bel libro su un autore che campò grazie alla sua abissale sfiducia nell’essere umano. In giorni di buoni propositi e auguri reciproci, nuove speranze e grandi opportunità, mi sembra giusto seminare un po’ di discordia e rammentare a tutti noi che l’evoluzione è un concetto piuttosto soggettivo, almeno per me.

Ho conosciuto Roy Lewis proprio in biblioteca. Stavo spulciando una mole di volumi strani, tutti accomunati da un tono di pessimismo cosmico sulla storia umana, quando mi balzò (letteralmente!) tra le mani un libriccino marrone dal titolo nero: Il più grande uomo scimmia del Pleistocene. Già il titolo era assolutamente geniale. Inoltre, sul retro, il solito commento degli addetti ai lavori lo definiva un libro “uno dei miei preferiti, avrei tanto voluto scriverlo io”. A dirlo era niente meno che Terry Pratchett… e se lo diceva lui! Senza esitare neanche un secondo, lo presi in prestito e me lo portai a casa, sentendo di avere in borsa qualcosa di estremamente prezioso.

Scritto nel 1960, racconta le imprese evolutive di una tribù di cavernicoli alle prese con il fuoco, la cottura del cibo, l’addestramento degli animali selvatici, l’arte e l’amore. Ogni personaggio rappresenta un ruolo sociale all’interno della cultura umana (nella pratica, troviamo il conservatore, l’allevatore, la donna, l’artigiano, il filosofo, che è anche il narratore, l’artista, l’esploratore etc…) e porta un tipico nome inglese, che rende la situazione divertente e paradossale. Non manca, infatti, lo humour inglese e l’assurdo in questo romanzo abbastanza breve, utilissimo per riflettere sul nostro passato remoto, anche grazie a forti anacronismi. Interessante, in Lewis, è l’uso dei sottotitoli, che nella traduzione italiana si perde, facendo perdere anche molto del senso generale del libro. In originale, infatti, questo si è intitolato The Evolution Man, Once Upon an Ice Age e il migliore, What We Did to Father, riferito alla tragicomica fine dell’innovativo capo, ucciso e mangiato dai figli, fino al titolo di The Evolution Man – Or, How I Ate My Father.

Lo stesso si può vedere nel meno fortunato, ma superiore nei contenuti, romanzo del 1990 (per inciso, Lewis era un giornalista economico di spicco e scrisse questo libro appena oltre la Guerra Fredda), La vera storia dell’ultimo re socialista, che in inglese è The Extraordinary Reign of King Ludd. Si tratta di un’ucronia, genere oggi tornato molto in voga e basato sul gioco “cosa sarebbe successo se…?”: in questo caso, come sarebbe il mondo se nel 1848 i moti indipendentistici avessero portato alla vittoria del socialismo e non del capitalismo? Ne emerge una realtà del tutto verosimile, che si snoda tra eventi accaduti davvero e personalità davvero esistite, ma che presero decisioni diverse: l’abdicazione della Regina Vittoria, la Duplice Monarchia anglo-indiana, la generale presenza di tre religioni (cristianesimo, islam e umanesimo) e così via. Ma un dettaglio che, ho notato, in pochi hanno rilevato, è l’essenziale importanza del luddismo da cui il titolo originale.

Il luddismo era un movimento ottocentesco ispirato da Ned Ludd, eroe del proletariato che, protestando contro la presenza delle fabbriche in Inghilterra, con tutto ciò che rappresentavano, distrusse un telaio meccanico affinché il lavoro fosse ripreso dagli uomini e dalle donne. In questo romanzo, Lewis non sono parla della scarsa differenza fra socialismo e capitalismo, se non per dire che l’uomo è naturalmente spinto verso il secondo, per cui una società socialista è inevitabilmente destinata all’implosione, ma anche della differenza sostanziale che è il vero nodo gordiano da cui è partito il mondo contemporaneo: la tecnologia. L’istituzione che se ne occuperebbe, l’Inpacto, in nome del socialismo non divulgherebbe nulla per mantenere l’uguaglianza, la cooperazione, la pace generale, ma anche il giusto tasso di mortalità utile a evitare un’eccesso di popolazione, che non sarebbe sostenibile per le risorse possedute: all’interno di queste aree dette riserve, si studierebbe la tecnologia, la scienza e la farmacia… ma in nome della cooperazione e della giustizia sociale, si può nascondere la cura per malattie come la tubercolosi, il cancro o la rabbia? Da qui, le nuove lotte per rendere macchine e medicine disponibili a tutti.

Lewis non si schiera da nessuna parte, né è mia intenzione farlo, ma mette nero su bianco come sarebbe il mondo se i governi avessero fatto le scelte opposte. Non migliori, ma diverse. Quel che è sicuro, però, è la naturale ricerca per la salvaguardia della specie, che nell’uomo si manifesta appunto nel continuo miglioramento della tecnologia e nella ricerca per cure mediche sempre più efficienti e prive di pericoli. Sta a noi e alle autorità costituite capire e scegliere il meglio, o almeno il meno peggio.

Ironico, brillante, acuto, a tratti davvero satirico e velenoso, almeno mi ha fatto sopravvivere al Natale e al Capodanno.

Per ulteriori riflessioni intelligenti, spero, e spunti interessanti da libri presi a caso,

a presto, Betta La Talpa

P.S. Solita nota editoriale. Roy Lewis è sempre pubblicato in Italia con Adelphi. Il più grande uomo scimmia del Pleistocene La vera storia dell’ultimo re socialista

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2 risposte a "L’uomo scimmia socialista"

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