I luoghi che hanno ispirato la Terra di Mezzo, dice il sottotitolo di questa vera e propria enciclopedia tolkeniana, che di certo non può mancare sugli scaffali di un wanna-be-a-hobbit come si deve.
Ringraziando la Oscar Mondadori per questa splendida occasione, sono qui a parlare di due miei amori che forse non ho mai menzionato, ma a cui ho accennato qui e là: la cartografia e Tolkien.
Della mia recente passione per la cartografia, le mappe e la geografia storica ho fatto riferimento su Semi di inchiostro, giovanissimo sito a cui collaboro e in cui ho scritto di una cosa meravigliosa a cui non pensiamo quasi mai: il concetto di spazio è cambiato profondamente nel tempo e gli stessi antichi concepivano e comprendevano i cambiamenti paesaggistici dovuti alla mano dell’uomo, nonché al rapporto tra natura ed esseri umani. Ne è un esempio la vicenda di Atlantide, che Platone vede come conseguenza di un kataklismos (cataclisma, calamità naturale), oppure il fatto che la regione greca dell’Attica sia subito diventata arida a causa di un errato abuso del terreno e di una non lungimirante tutela. Lo stesso vale, per dire, in Italia, con la scomparsa dei muretti a secco che avrebbero protetto molte zone dedicate all’agricoltura dalle frane e dal sovrasfruttamento delle risorse terricole.
Poi c’è Tolkien e qui potrei aprire un discorso lungo e noioso a cui preferirò poche, spassionate parole d’amore: egli fu un vero umanista, un uomo profondamente consapevole e innamorato dell’umanità, un sostenitore della tutela del patrimonio paesaggistico della sua Inghilterra e un militante, a modo suo, contro la guerra. Fu scrittore solo per conseguenza naturale, in quanto nacque come studioso dell’antichità e filologo. La sua cosmogonia così ben narrata nel Silmarillon e le avventure epiche che abbiamo amato tutti nel Signore degli Anelli, quindi il miglior world building ben prima di Harry Potter, Grishaverse e altre saghe fantasy moderne, sono sorte non dalla fantasia, ma dallo studio e della sua magnifica ossessione per le lingue. Un mondo non esiste senza una lingua e una lingua, per essere reale e viva, ha bisogno di essere parlata, anche da creature immaginarie su carta.
John Garth, già famoso ai lettori di tutto il mondo per Tolkien e la grande guerra, lavora proprio come mi sarei aspettata e sognavo facesse qualcuno, ovvero considerando Tolkien non un semplice scrittore dall’immaginazione straordinaria, bensì un accademico che non avrebbe mai lasciato nulla al caso quale lui era. Nella interessantissima introduzione, l’autore descrive come ha operato e conclude che questo è il frutto del suo lavoro, ma altri potrebbero benissimo essere in disaccordo e trovare altre chiavi di lettura al mondo di Tolkien. Per inciso, Garth, son d’accordo con te.
Il lavoro svolto da Garth è propriamente filologico come sarebbe piaciuto al tranquillo professore di Oxford diventato famoso per un hobbit, la creatura meno adatta alla guerra mai immaginata da uno scrittore. Partendo dalla vita e dai luoghi che Tolkien ha visitato (a partire dalla terra in cui nacque, il Sudafrica), nonché dalla mole immensa di appunti lasciati e dall’impegno del figlio Christopher per raccogliere e pubblicare tutto quanto, Garth ricostruisce i luoghi che sono stati ragionevolmente le fonti per creare la Terra di Mezzo, un mondo enorme e come tale ricco di ecosistemi diversi e di paesaggi particolari come qualsiasi luogo sul nostro pianeta. Per inciso, la Nuova Zelanda non c’entra nulla con tutto questo, per quanto sia stato il set perfetto per la trilogia di Peter Jackson.
Come il bravissimo ricercatore che è, Garth ha allegato, a suffragio delle sue teorie, centinaia di immagini e fonti scritte in modo che il lettore possa accogliere o meno la sua tesi. Personalmente, ripeto, nel corso della lettura mi sono trovata del tutto d’accordo con lui, anche perché non ho mai amato trattare gli autori come personaggi dei loro libri: gli scrittori, anche i più grandi, sono stati individui reali, con i loro pregi e i loro difetti, ma soprattutto un vissuto vero e proprio sui cui hanno inciso agenti esterni, dai luoghi in cui sono stati alle persone che hanno incontrato.
Il libro non si presta a una lettura per diletto, sul divano con la tisana o a letto sul cuscino, la dimensione vi ucciderebbe e l’organizzazione generale e lo stile lo rendono un manuale di consultazione, un’enciclopedia tematica a cui attingere nel dubbio o per trarre ispirazione.
Consiglio dunque la lettura a tutti, sia a chi conosca bene Tolkien sia a chi lo consideri soltanto un autore fantasy come altri, ma niente più. Si tratta inoltre di un prodotto di pregio come la Oscar Mondadori ci ha insegnato a desiderare, ideale per essere messo in mostra e adorato su un adatto scaffale-altarino.
W la zona gialla e vota Barbalbero!
Betta La Talpa
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P.S. Potete trovare la raccolta su LaFeltrinelli o su IBS, altrimenti sul sito della casa editrice!
P.P.S Oltre a John Garth, consiglio il lavoro che su Tolkien ha svolto Catherine Mcllwaine, curatrice dell’Archivio Tolkien alla Bodleian Library presso l’Università di Oxford, edita anche lei da Oscar Mondadori.
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