Un treno per Berlino

Vi dirò la verità. Oggi comincerò a scrivere questo articolo con sincerità e spietata franchezza Non sono un’amante di concorsi e premi e, quando Nativi Digitali Edizioni (che mi piace ringraziare a ogni buona occasione) mi ha segnalato questo romanzo, mi sono detta: “Ok, siamo nel mese del trentennale della caduta del Muro di Berlino, mi sembra giusto leggere qualcosa in tema”, seguito da “sì, ma è facile scrivere di questi argomenti in questo momento. La conquista del grande pubblico è inevitabile”.

Questo romanzo, infatti, ha tutti gli elementi per ottenere un premio e piacere a un pubblico generalista. Innanzi tutto, è vincitore del Tornei Letterario IoScrittore 2018, promosso dal Gruppo GEMS e vero “Hunger Game” per lettori e scrittori. Il tema è quanto mai attuale: due sconosciuti su un treno per Berlino si raccontano, dando voce alla Germania moderna delle grandi università e a quella del nazismo. Il registro è medio, con momenti di flussi di coscienza orchestrati con prudenza e grande controllo di uno stile scorrevole e senza troppi fronzoli.

Beh, volete la verità? Il mio Io raziocinante e iper-oggettivo alla fine ha ceduto. Senza accorgermene, ho letto il libro in cinque ore e ho fatto molta fatica a prendere sonno sabato notte, nonostante abbia letto con il sostegno di una tisana rilassante. Ho pianto e non riuscivo a non pensare a ciò che avevo appena finito di leggere.

Cosimo Beningarda è lettore di lingua italiana presso la Freie Universitat di Berlino, il vecchio Berfried Ziegler siede di fronte a lui nello scompartimento del treno che li porterà alla capitale. Dal nulla, come solo in certi incontri fortuiti in occasioni magiche quali possono essere i lunghi viaggi in treno, Herr Ziegler inizia a raccontare la propria storia. Un po’ Jules e Jim, un po’ grande romanzo del Novecento, questo segmento della vita di Ziegler sembra più un feuilleton che vera vita vissuta, eppure ha quello strano colore neutro retrò e quell’odore di fumo che dovevano avere gli Anni ’30: la Storia che conosciamo dai libri di scuola è uno sfondo ingombrante, ma non soverchia mai il protagonista e la sua vicenda privata di amore, coraggio e arresa.

Se la voce di Beningarda resta un po’ ai margini e compare solo come commento moderno, col senno di poi, agli eventi del passato, quella roca e profonda di Ziegler è prepotente e occupa tutto il romanzo con la potenza che hanno solo i veri narratori, soprattutto quando raccontano la propria vita. Una voce chiara, semplice e così avvolgente da credere che sia esistito davvero. D’altro canto, a ricordarci che si tratta comunque di un prodotto di fantasia è, come lo stesso Beningarda sostiene, la caratterizzazione dei personaggi che partecipano alla vicenda di Ziegler, ovvero Hanne Fuchs e suo marito, il dottor Augustin, ma anche la piccola Anja. Sono, in effetti, chiaramente personaggi inventati, lei così bella, amante dei libri, con una drammatica storia famigliare alle spalle di cui non parla; lui di quasi trent’anni più vecchio, paraplegico, saggio e immenso nella sua immobilità fisica; la bambina, bambola di porcellana che oggi definiremmo nello spettro dell’autismo. Eppure, a volte i romanzi sono più veri della realtà e viceversa, la realtà dei fatti supera la creatività dello scrittore più ardito.

Puntellano l’infelice storia di Ziegler fatti che oggi conosciamo bene: i roghi dei libri, la Notte dei Lunghi Coltelli e la Aktion T4. L’aspetto migliore del romanzo di Luca Granato è infatti non solo la capacità di creare personaggi che strisciano sotto la pelle del lettore e decidono arbitrariamente di restarci, ma anche di gestire la Storia senza prepotenza, contestualizzando e cercando di capire le origini dei fatti: la vicenda, infatti, si svolge fra il ’31 e il ’39, agli albori del nazismo fino all’inizio della guerra, per cui possiamo capire la posizione di Beningarda, giovane colto degli Anni Duemila, ma anche quella di Ziegler, che aveva vent’anni negli Anni ’30 e vedeva solamente la propria nazione crescere economicamente, dargli un lavoro, propagandare idee vincenti. Beninteso, l’autore non giustifica nulla degli orrori del nazismo, bensì va a indagare le ragioni delle persone che vissero quel periodo storico e non poterono avere una visione d’insieme né prevedere quello che sarebbe successo.

Insomma, inconsciamente sono caduta nella trappola. Mi sono innamorata dei personaggi e ho seguito riga dopo riga il loro rapporto e sullo sfondo del periodo più nero della Storia. E alla fine, ho pianto disperatamente per l’epilogo, che a mente lucida definirei quasi inevitabile. Questo è chiaramente un avvertimento diretto a chi è giovane oggi, come me. Se sei dentro qualcosa, è difficile accorgersi della verità e prevedere ciò che avverrà: in un momento di pericoloso ritorno al pensiero nazifascista, all’odio e all’intolleranza per le diversità, è fondamentale ricordare ciò che accadde nel secolo scorso ed evitare in qualsiasi modo che si ripetano gli errori commessi.

Per questo, vorrei concludere questo articolo dedicandolo alla senatrice Liliana Segre. Non possiamo permetterci di lasciare il nostro futuro a persone che fanno della guerra la propria bandiera, non possiamo arrenderci alle proposte di intolleranza che ci vengono fatte. Accadde una volta e il mondo finì. Se davvero stiamo costruendo qualcosa per le generazioni che verranno, insegniamo l’uguaglianza, il rispetto e il valore fondamentale della democrazia come strumento di pari diritti e opportunità.

Grazie e buona lettura,

Betta La Talpa

P.S. Trovate Un treno per Berlino su IBS e Feltrinelli. Peraltro, segnalo con piacere questa iniziativa promossa da IBS e Feltrinelli: fino al 15 gennaio 2020, con 20 euro di libri potete avere in omaggio in nuovo romanzo di Stefano Benni, La bambina che parlava ai libri.

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