Traditi e consegnati alla morte

Rinnovo la collaborazione con la casa editrice Nativi Digitali Edizioni per parlare di un libro controverso. Che inizio trionfale.

Già, perché il bello (e il brutto) del mio lavoro è imbattersi in libri che non ci si sognerebbe mai di leggere, che ci fanno venire i brividi al solo pensiero e che sono anni luce distanti da noi, dai nostri gusti e dalle nostre opinioni. In questi casi in cui si è costretti a continuare a leggere nonostante tutto, bisogna armarsi di sangue freddo e indossare gli occhiali della professione: non stiamo leggendo per piacere, è il nostro mestiere! D’altronde, un lettore a cui piaccia tutto ha qualche problema così come, lo devo ammettere, diffido di tutti coloro che scrivono solo dei libri che hanno apprezzato e non danno mai opinioni negative. L’integrità, la sincerità e il giudizio critico sono importanti, ragazzi.

Detto questo, oggi parlo di un libro che non temo di definire controverso e che non mi è piaciuto; non condivido nessuna idea di quelle che ho letto in alcune interviste rilasciate dall’autrice, anche se rispetto il suo desiderio di andare a scavare nelle pieghe più oscure della storia. Mi sento di affermare di essere una persona preparata e professionale, per cui ritengo doveroso e corretto dover giudicare il libro per come lo ho letto e interpretato io, il che vuol dire in maniera suscettibile a opinioni contrarie. Traditi e consegnati alla morte di Emilia Anzanello è un romanzo autopubblicato da un’autrice che già si è destreggiata col genere e racconta di ciò che accadde nel 1945 ai tedeschi dopo la fine della guerra.

Per una volta, proviamo a metterci nei panni dei soldati dalla parte di Hitler: improvvisamente, tutto ciò per cui combattevano svanì nel nulla, si trovano ovunque circondati dai nemici e la loro vita cominciò ad apparire oltremodo turpe agli occhi degli altri. Non dimentichiamoci di scene drammatiche della guerra, come il bombardamento di Dresda, in cui molti civili morirono nel tentativo degli Alleati di stanare i tedeschi nascosti.

Razionalizziamo il tutto. Sono tutti umani, ci sono moltissimi morti, una guerra sanguinaria e una delle tragedie più raccapriccianti della storia. E un’idea di odio e di violenza che, benché sia alla base di ogni conflitto, fra gli anni ’30 e gli anni ’50 raggiunse il suo culmine fino alla sua trasformazione in catena di montaggio. In tutta onestà, da lettrice, studiosa ed essere umano, non posso dimenticare ciò che avvenne in quell’epoca e ciò che degli uomini fecero ad altri simili: però, possiamo spiegare come si arrivò a tanto.

Tutti sembrano ancora stupiti che una persona disturbata come Adolf Hitler sia arrivato a creare la dittatura per eccellenza, un uomo infelice, con evidenti problemi comportamentali e, diciamolo, pure molto brutto. Lo stesso si può pensare di Kim Jong-un e Donald Trump. Tuttavia, basta pensare che il nazionalsocialismo ebbe tale presa sulla gente perché la Germania era uscita umiliata dalla Grande Guerra, disprezzata dall’Europa e indebitata fino al collo per ripagare le spese di guerra a tutti i paesi coinvolti. Non credete naturale che, in tempi di crisi, un’ideologia che galvanizzi la gente, le faccia sentire il suo potere, la faccia sentire grande e incolpi qualcun altro della propria cattiva sorte, sia per forza di cose un’ideologia vincente? Non dico nulla di nuovo, vero? Vi sembra casuale che, proprio dopo la crisi economica, siano tornati in auge movimenti di estrema destra? E allora, come spieghiamo Alba Dorata e Casapound? Come la vittoria della Lega Nord nel Parlamento Europeo? Se vi capita l’occasione, andate a vedere lo spettacolo di Elio Germano La mia battaglia e mi darete ragione.

Dal libro e dalla storia che racconta, vera per quanto romanzata, nascono quesiti che ognuno di noi può porsi e a cui può dare una risposta francamente: pur essendo convinta che la colpa di un uomo non possa essere assimilata alla colpa di un popolo, per cui non accuso un’innocente signora di Colonia di aver mandato a morte milioni di persone, e che molti ragazzi tedeschi furono in un certo modo costretti ad arruolarsi nell’esercito nazista (per motivi economici e famigliari o perché in parte sedotti dalla fiducia nel futuro che il nazismo dava), quanto possiamo incolpare un uomo che da giovane scelse ingenuamente di arruolarsi e fu punito? A quanto può ammontare la punizione per un soldato semplice? Insomma, quale fu la giusta punizione per i nazisti che lavorarono dietro le quinte? Il romanzo cita la corte marziale e i campi di prigionia sovietici, ma anche le fucilazioni e la morte per inedia. So che è una questione estremamente delicata e che ognuno risponde con grande difficoltà a questa domanda. Personalmente, confesso anch’io di essere molto confusa al riguardo: sono contraria a ogni tipo di violenza, ma davanti agli orrori dei campi di sterminio, degli stupri di massa, del totalitarismo, quanto possiamo ingoiare il desiderio di vendicare l’ingiustizia? È giusto ripagare con la stessa moneta? È giusto dimenticare? Quale può essere un comportamento etico e morale davanti a questo fatto?

L’incentivo a riflettere su tale questione è senza dubbio il miglior pregio del romanzo ed è stimolante leggere un libro che ci ponga tali domande. D’altro canto, non ho gradito la lettura sul piano strettamente editoriale: non ho trovato il libro per niente scorrevole, affatto coinvolgente; l’ipotassi è assillata da un uso eccessivo di virgole, la punteggiatura mi è sembrata poco controllata, oltre a uno stile che ho trovato un po’ pretenzioso e acerbo in qualche punto. Senza dubbio, il punto forte del romanzo è la mole di domande che costringe il lettore a porsi e apprezzo molto il coraggio degli scrittori che non si fanno spaventare dal giudizio altrui.

Se l’argomento vi ha accalappiati, vi consiglio un libro e due film: Il club del libro e della torta alla buccia di patate di Guernsey, romanzo del 2008 di Mary Ann Shaffer e Annie Barrows e film del 2018 di Mike Newell, e il già citato I ragazzi del Reich del 2004 di Dennis Gansel. Per i più cerebrali, suggerisco anche il celebre Il portiere di notte, film di Liliana Cavani del 1974.

Un abbraccio e alla prossima lettura,

Betta La Talpa

P.S. Trovate il libro su IBS nella sola versione epub.

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RIPRODUZIONE RISERVATA

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6 risposte a "Traditi e consegnati alla morte"

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    1. Grazie mille! Nessun problema: sono in generale una redattrice (ossia assieme al lavoro editoriale di correzione etc scrivo testi), ho lavorato anche come editor linguista e bibliotecaria. Al momento, sono bibliotecaria per un progetto europeo in Polonia.

      Piace a 1 persona

    1. Poteva capitarti il cinese, in fondo 😉
      (Non che io sappia davvero quanto e come è difficile il polacco, ma lo immagino comunque un passetto indietro rispetto a quelle lingue lontane da noi in ogni possibile senso…!).

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