Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, un evento a cui tengo molto non perché vi sia un legame diretto fra me e l’Olocausto… anzi, proprio perché si tratta di una celebrazione che sancisce un legame diretto fra noi, generazione post Seconda Guerra Mondiale, e il dramma che sconvolse il Novecento. Sembra che sia lontana la guerra con i suoi orrori, eppure la vediamo tutti i giorni alla TV e ne ascoltiamo i rumori di fondo: migranti, rifugiati politici, decisioni dei governi e minacce sul web. La guerra è diversa, ma sempre guerra è e va sradicata fin dal principio. Non ho potuto vedere con i miei occhi le conseguenze orribili di una guerra, e soprattutto ciò che un genocidio porta con sé, ma sono molto sensibile all’argomento perché ho a cuore i diritti di ciascuno di noi e credo che coloro che combattono per essi siano eroi da portare a modello.
Innanzi tutto, vorrei dare il mio contributo alla confusione generale riguardo al termine genocidio. Nel 1944 il giurista polacco Raphael Lemkin diede questa definizione, che fu poi adottata dall’ONU nel 1948 per la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio:
Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale:
a) uccisione di membri del gruppo;
b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
c) il sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
d) misure miranti a impedire le nascite all’interno del gruppo;
e) trasferimento forzato di bambini del gruppo a un altro gruppo.
Conoscere qualcosa sapendo che nome usare significa avere un’arma in più per distruggerla. E ricordare un passato ignobile significa prendere atto di quel che è stato e fare di tutto purché non accada più. Sapere che, non molto tempo fa, persone come i nostri genitori, i nostri nonni e i nostri bisnonni sono morte per la follia e per l’ignoranza di altri deve portarci a riflettere sui motivi che hanno fatto sì che accadesse e capire che cosa possiamo fare per evitarlo di nuovo. Significa dare un nome agli eventi e agli errori e trovare soluzioni perché uomini, donne e bambini non muoiano per l’indifferenza, per l’ipocrisia, per partito preso o per priorità assurde come la politica o la religione. Infine, significa identificare il nemico, anche e soprattuto quando ha un volto cordiale e rassicurante, puntargli l’indice contro e urlare, con tutte le forze che abbiamo, insieme, in milioni di voci: “Vattene, mostro!”
Per questo, è fondamentale ricordare la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico, ma anche tutti gli altri genocidi di cui non si parla o che hanno destato meno interesse mediatico, per una ragione o per l’altra. Di Olocausto non ne è esistito uno soltanto, bensì molti ed è nostro compito combattere con la ragione e il diritto affinché tutte le vittime siano ricordate e nessuno venga più perseguitato per ciò che è.
Oltre la Shoah, che vide fra il 1941 e il 1945 il peggior periodo dell’uomo, quello della Endlosung o soluzione finale, preceduto da secoli di antisemitismo e prevaricazioni, bisogna ricordare altri popoli e altri orrori: il genocidio degli Herero e dei Nama, privati dei capi di bestiame di cui vivevano e lasciati a morire in campi di concentramento, a opera dei tedeschi fra il 1904 e il 1907; il genocidio degli armeni fra il 1915 e il 1916, sottoposti dai turchi a deportazioni e marce della morte; il Porrajmos che colpì gli zingari insieme agli ebrei, pagina storica ancora irrisolta a causa di uno stereotipo ancora vivo riguardo alle popolazioni rom e sinti; le angherie compiute dai khmer rossi nella Cambogia degli anni ’75-79, dove qualsiasi cenno di intellettualismo veniva punito nei centri di rieducazione, se non con torture e fucilazioni; il lunghissimo incubo vissuto dalla popolazione di Timor Est, che fra il 1975 e il 1999 fu invasa e distrutta dagli indonesiani per le risorse naturali con campi di reinsediamento e violenze inaudite sui bambini; la guerra in Rwanda, ferita ancora aperta nell’Africa, che nel 1994 creò un inferno di indicibile orrore per le donne e i bambini, sottoposti a crudeltà come stupri di gruppo e massacri collettivi; la cosiddetta pulizia etnica in Bosnia fra il 1992 e il 1995 contro i bosniaci ad opera dei serbi.
E oggi? Non possiamo parlare di genocidio, ma è nostro dovere fermarci prima che lo diventino: sto parlando dei fatti in Siria, Palestina, Libia. Non fingiamo che non stia accadendo e che sia lontano da noi, i migranti ne sono la prova inconfutabile.
Lo so, oggi scrivo di cose drammatiche che non si vorrebbero leggere, già la vita è difficile da sola… ma ho una buona notizia. Se è nostro dovere ricordare il lato oscuro del passato, è anche nostro dovere ricordare che sono esistite ed esistono tuttora persone che hanno fatto moltissimo per porre fine alle ingiustizie e alle morti dei loro vicini. Sto parlando dei Giusti tra le nazioni, né santi né eroi, ma uomini e donne che, nella semplicità della vita quotidiana, hanno salvato a volte migliaia di vite per un puro atto di bontà. Per fare qualche nome, fra i Giusti appaiono Giovanni Palatucci e Gino Bartali (sì, quel Gino Bartali) per la Shoah, ma ci sono anche storie straordinarie, come Paul Rusesabagina per il Rwanda (il protagonista del film Hotel Rwanda, per dire) e Rocco Chinnici contro la mafia. Sì, perché gli orrori sono anche a casa nostra e anche una sola voce può fare la differenza. Vi consiglio caldamente di visitare il sito di https://it.gariwo.net, una Onlus presieduta dal giornalista Gabriele Nissim, che si occupa di ricordare i Giusti tramite la creazione di splendidi giardini sparsi in tutto il mondo. A Gerusalemme potete anche visitare Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah (vedete in copertina la sua stele), che ospita un memoriale e un Giardino dei Giusti e annovera fra i suoi presidenti il celebre Moshe Bejski, salvato da Schindler. Per quanto ora so, devo la mia riconoscenza al prof. Giorgio Vecchio dell’Università degli Studi di Parma e al suo magnifico volume Genocidi e Giusti nella storia del Novecento (https://www.lafeltrinelli.it/libri/giorgio-vecchio/genocidi-e-giusti-nella-storia/9788890678110).
Ecco dunque una mia personale bibliografia sull’argomento. Di consigli di lettura ce ne sono ovunque e sicuramente più complete. Io vi posso indicare quei libri sull’argomento che mi hanno aiutato a comprendere.
Zdenka Fantlovà, 6 campi, Tre60, Milano 2018 https://www.lafeltrinelli.it/libri/zdenka-fantlova/6-campi-sopravvissuta-a-terezin/9788850252596
Judith Kerr, Quando Hitler rubò il coniglio rosa, Bompiani, Milano 1995 https://www.lafeltrinelli.it/libri/judith-kerr/quando-hitler-rubo-coniglio-rosa/9788845179877
Primo Levi, Se questo è un uomo, La tregua, Einaudi Tascabili, Torino 1991 https://www.lafeltrinelli.it/libri/primo-levi/se-questo-e-un-uomola/9788806116057
Trudi Birger, Ho sognato la cioccolata per anni, Edizioni Piemme, Segrate 2011 https://www.lafeltrinelli.it/libri/trudi-birger/ho-sognato-cioccolata-anni/9788868366476
Anna Frank, Diario, Einaudi Tascabili, Milano 1995 https://www.lafeltrinelli.it/libri/frances-goodrich/diario-anna-frank/9788806141271
Gabriele Nissim, Il tribunale del bene, Mondadori Oscar Storia, Segrate 2004 https://www.lafeltrinelli.it/libri/gabriele-nissim/tribunale-bene/9788804525684
Hannah Arendt, La banalità del male, Universale Economica Feltrinelli, Torino 2013 https://www.lafeltrinelli.it/libri/hannah-arendt/banalita-male-eichmann-a-gerusalemme/9788807883224
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi Piccola Biblioteca, Torino 2009 https://www.lafeltrinelli.it/libri/hannah-arendt/origini-totalitarismo/9788806200640
Art Spiegelman, Maus, Einaudi Stile Libero, Torino 2010 https://www.lafeltrinelli.it/libri/art-spiegelman/maus/9788806202347
Shalom aleikhem
Betta La Talpa
P.S. Consiglio anche qualche film a riguardo, se può aiutare a prendere confidenza con l’argomento. Oltre all’intramontabile Shindler’s List di Steven Spielberg (1993) e al bellissimo Jakob il bugiardo di Peter Kassovitz (1999), segnalo Lui è tornato di David Wnendt (2015) dal romanzo di Timur Vermes e l’ingiustamente semi-sconosciuto I ragazzi del Reich di Dennis Gansel (2004), che racconta la formazione di un gruppo di adolescenti per diventare SS nella scuola nazista NaPolA.
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