A est dell’Eden

Si dice che Caino, dopo aver ucciso il fratello Abele, preferito da Dio, si sia spostato nel villaggio di Nod, a est dell’Eden. E da lì, la sua progenie peccatrice ha iniziato a proliferare, spargendo il peccato e il male per tutte le terre al di fuori del giardino divino.

L’Eden è simbolo ormai comune di una terra d’abbondanza e ricchezza, dove gli alberi da frutto crescono da soli (anche quelli più velenosi…) e coltivare ogni tipo di verdura non costa alcuna fatica. È così che Adam Trask si immagina che sia la valle del Salinas, nella California settentrionale, dopo la morte del severo padre Cyril e il matrimonio con la bellissima Cathy: peccato che la terra non risponde a nessuno stimolo dato dall’agricoltura e che la sua sposa non è affatto la fanciulla riconoscente e timorata che si è costruito nella mente, bensì è nei fatti la reincarnazione di Eva-Lilith nel racconto biblico, che fa da guida interpretativa per tutto il romanzo.

La valle dell’Eden, in originale East of Eden, fu scritto negli Stati Uniti da un uomo di cui sicuramente avete sentito parlare, visto che la maggior parte della musica folk americana si ispira ai suoi romanzi, il californiano John Steinbeck, nel 1952. Dato l’immediato successo, già nel 1955 il regista Elia Kazan ne girò la trasposizione cinematografica, mantenendo lo stesso titolo  ma occupandosi solo della seconda parte della trama, per altro con molte differenze rispetto al libro.  E nel ruolo del protagonista, Caleb Trask, l’irrequieto figlio di Adam, non poteva non esservi il ribelle per eccellenza, James Dean, qui al suo esordio.

Raccontare la trama del romanzo sarebbe possibile, ma risulterebbe un articolo lungo venti pagine e con spoiler che, vi assicuro, vi rovinerebbero la vita. Il romanzo si distingue infatti per essere sostanzialmente: un’avvincente saga famigliare fra la Guerra Civile e la Prima Guerra Mondiale, una rilettura del mito biblico di Caino e Abele e la valle dell’Eden, una storia sul mistero dell’amore e sulle conseguenze drammatiche che derivano dalla sua mancanza, un romanzo americano e una biografia sulla ricerca della propria identità.

Da una parte, infatti, troviamo Samuel Hamilton, immigrato irlandese, geniale e altruista, che non smette mai di inventare strumenti per trovare l’acqua e coltivare la dura terra del Salinas. Fa da altro piatto della bilancia, saggia e devota, la moglie Liza, che sopperisce alla stravaganza del marito con pragmatismo e determinazione. Da loro verrano ben nove figli, tra cui Olive, che, sposando Ernest Steinbeck, sarà la madre di John, il narratore. Nel numero dei figli, vale la pena nominare Dessie, intraprendente e sempre allegra, Will, scaltro uomo d’affari, e Tom, che Samuel destinava a una grandezza mai compresa da nessuno se non da lui.

Gli Hamilton verranno a contatto con i Trask nel momento in cui Adam chiederà a Samuel di aiutarlo a costruire un ranch: trasferitosi dal Connecticut, dove ha lasciato il fratellastro Charles, violento e solitario, vuole creare un paradiso per la moglie. Cathy (forse il nome Cathy ispira psicopatia ai personaggi femminili… ci avete mai pensato?) però non è una donna che si accontenta, tutt’altro. È manipolatrice, priva di coscienza e oltremodo perfida, il che la rende uno dei personaggi migliori della letteratura mondiale: dati alla luce i gemelli Caleb e Aron, si dà una settimana di tempo per riprendersi, poi scappa a Salinas, dove da vera arrampicatrice sociale diventa la maîtresse di un bordello che specializzerà in sadomaso e amenità varie. Non vi dico oltre sul suo conto, perché la sua vicenda sì che vi terrà incollati alle pagine!

Il fulcro del romanzo è proprio la sindrome da Caino e Abele dovuta a un padre incapace di dimostrare amore per i figli: Cyril manda Adam nell’esercito per farlo diventare un uomo, pur amandolo ben più di Charles, che sin da piccolo dimostra di cavarsela perfettamente da solo, ma questo renderà il rapporto tra i fratellastri instabile e spesso a rischio della loro stessa vita; Adam, dopo la fuga di Cathy, per molti anni non considera i figli, che addirittura rimangono privi di nome se non “cosi”, dando luogo alla tragedia della seconda parte del romanzo, dove Caleb cerca in tutti i modi di conquistarsi l’amore del padre, che preferisce il responsabile e bellissimo Aron (che in realtà ha anche lui i suoi problemi mentali, in particolare rifugiarsi in un mondo tutto suo).

Accanto alle traversie di queste famiglie, legate l’una all’altra in un’America che cambia velocemente da un secolo all’altro, si erge come un casuale profeta il servitore dei Trask, il cinese Lee, a cui Steinbeck consegna l’arduo compito di spiegare il senso generale del romanzo: timshel, tu puoi… ognuno di noi può decidere che vita fare, che alternativa scegliere, se essere buono o cattivo, se prendere una strada piuttosto che un’altra. Ed è questo a renderci ciò che siamo.

È questo l’insegnamento principale del libro, come pure quello della Bibbia che, credo, si dovrebbe leggere con senso critico, ragionando su ogni parola e su ogni concetto. Ecco perché sarebbe importante imparare le lingue morte! Le traduzioni hanno il grosso problema di tradurre anche costumi e doveri che, quando la Bibbia è stata scritta, semplicemente non esistevano. Ognuno è libero di essere ciò che si sente di essere e non saranno i legami di sangue a determinare chi o cosa dovremmo essere.

Un abbraccio,

Betta La Talpa

P. S. Attualmente sono in corso di nuova traduzione tutte le opere di Steinbeck per la Bompiani. Bellissime versioni, agevoli da leggere e belle da tenere sullo scaffale.

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RIPRODUZIONE RISERVATA

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