La lunga vita di un miserabile

Nella mia lista di desiderata, questo classico della letteratura mondiale non è mai mancato: come davanti a Guerra e Pace, però, ho sempre avuto quel macigno di soggezione che mi impediva di avvicinarmi almeno alle sue pagine. Ne ho visto i più recenti film che ne sono stati ispirati (uno nel 1998, uno nel 2000 e l’ultimo nel 2012) e ho sempre amato questa grande storia, dove le vite sfortunate di alcuni francesi, i nostri Miserabili, si mescolavano alla Storia, nel periodo prossimo alla Restaurazione.

Sì, stiamo parlando de I Miserabili di Victor Hugo… va bene, si potrebbe dire di tutto ma il tutto è già stato detto. Per di più, non ho abbastanza spazio e perderemmo tutte quante le diottrie che ci sono rimaste. Potremmo rifarci alle pellicole, il che sicuramente è più facile: se Geràrd Depardieu e Anne Hathaway sono rispettivamente il Valjean e la Fantine perfetti, un musical su Les Miserablès è oltre ogni speranza di sopportazione (certo, è commovente, ma di sicuro non perché gli attori cantano per tre ore di fila!); Russell Crowe è troppo autoritario e granitico per essere un vero Javert, la cui ossessiva ricerca del detenuto scomparso e i modi cagneschi sono più riusciti nell’interpretazione di John Malkovich, mentre Marius è un personaggio così meno approfondito rispetto agli altri che non è mai stato di gran difficoltà, per cui piace sia come Eddie Redmayne sia come Enrico Lo Verso; infine, i Thernàrdier sono una coppia così diabolica da essere adorabile, ma quella interpretata da Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen è fin esteticamente troppo bella. Si potrebbe andare avanti all’infinito, spulciando ogni personaggio dall’inizio alla fine del romanzo, e riflettere su quale attore lo abbia interpretato meglio… ma alla resa dei conti, il film perfetto de I Miserabili non esiste.

Questo perché nessuno è mai riuscito a riprodurre davvero fedelmente la grandiosità dell’opera di Hugo, per quanto sia facile attenersi alla lunga trama, che è abbastanza lineare se si tiene conto che ogni personaggio è in qualche modo legato all’altro. Innanzi tutto, un contesto preciso e minuziosamente descritto, ovvero Parigi e la sua provincia negli anni successivi alla Restaurazione, con qualche flashback alla Rivoluzione del 1789: nel volume primo, soprattutto, vi sono due capitoli splendidi dedicati alla Storia e alla descrizione della città. Tutti dovrebbero rileggerlo prima di abbozzare un paesaggio e un contesto storico, perché è dai migliori che si impara. La fissazione per Waterloo e per i gradi militari, ma anche il fascino della moda che cambia sono quanto di più bello un uomo abbia scritto.

E all’interno di questa cornice magnifica, così limpida e chiara che il lettore se la può vedere benissimo nel proprio salotto, ci sono personaggi di cui è impossibile non innamorarsi: l’immenso Jean Valjean e il suo arcinemico Javert (le lotte fra eroe e la sua nemesi piacciono sempre, soprattutto quando c’è della cattiveria vera in ballo), Fantine e la sua storia così sfortunata, ma anche a loro modo i Thenàrdier, realissimi e talmente perfidi da essere simpatici. Si tratta di un’opera mondo che è un inno a Parigi e un’asprissima (a volte anche ironica) critica alla società del tempo, di cui non si risparmia nulla. Un tono particolare, infatti, Hugo lo riserva per le creature peggiori dei miserabili, ossia i delinquenti come la vera cosca mafiosa dei Patron-Minette e le prostitute come la Magnon; questo non vuol dire però che sia più dolce o simpatizzi per le donne del convento (il capitolo dedicato al monachesimo è una lezione di storia eppure una curiosa presa di posizione contro di esso).

Mai avere paura dei classici, nemmeno quando hanno un migliaio di pagine che potrebbero divorarci il cervello. Ogni riga è una meraviglia.

Una bellissima edizione, che mi è stata regalata per la laurea, è quella della Einaudi Tascabili, collana Biblioteca,  con la traduzione di M. Picchi (I Miserabili).

Un abbraccio e… vive la France!

Betta La Talpa

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